DEEP SPACE: Onde gravitazionali, la chiave di accesso all’universo oscuro

00:15:50 03.03.2024

Sono i segnali dell’Universo tra i più misteriosi e difficili da rilevare, e proprio per questo stanno rivoluzionando l’astronomia. Sono le onde gravitazionali, oscillazioni dello spazio-tempo che si propagano alla velocità della luce nel cosmo come onde in uno stagno generate dal lancio di un sasso.
Previste da Albert Einstein nel 1916 come conseguenza della sua teoria della Relatività Generale, le onde gravitazionali sono state rilevate per la prima volta solo un secolo più tardi, nel 2015, dopo oltre 50 anni di ricerche.
Eppure la loro natura sfuggevole è la chiave per accedere all’Universo più oscuro.  

Giovanni Losurdo
Dirigente di ricerca INFN e Collaborazione Virgo

«Le onde gravitazionali sono generate in modo significativo quando delle masse molto grandi e soprattutto molto compatte si muovono ad altissime velocità; quindi sono tipicamente associate a fenomeni catastrofici che avvengono nel nostro universo. Le onde gravitazionali, essendo una manifestazione della gravità che è la più debole delle forze che conosciamo, hanno un'interazione estremamente debole con la materia. Attraversano la materia praticamente indisturbate lasciando nella materia quantità infinitesimali di energia; questo fa sì che è molto difficile rivelarle, ma allo stesso tempo ci possono portare informazioni da zone estremamente remote del nostro universo, ma anche da zone estremamente dense e quindi opache al passaggio di radiazione elettromagnetica. Quindi queste proprietà fanno delle onde gravitazionali un messaggero ideale per studiare il cosiddetto universo oscuro».

Completamente diverse dalla luce, per rilevare le tracce effimere lasciate dalle onde gravitazionali i fisici hanno sviluppato rilevatori molto sofisticati chiamati interferometri laser. I tre più grandi al mondo sono i due gemelli Ligo situati negli Stati Uniti e Virgo, fondato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e il francese Cnrs e collocato presso l’European Gravitational Observatory vicino a Pisa.
I segnali da loro capatati permettono di svelare la natura di buchi neri e stelle di neutroni in sistemi binari, le cui interazioni gravitazionali e fusioni sono i cataclismi da cui si generano appunto le onde gravitazionali.

Marica Branchesi
Ricercatrice GSSI e INFN - coordinatrice Einstein Telescope Observational Science Board

«Un segnale di fusione di due buchi neri dura una frazione di secondo, ma riusciamo a ricostruire i parametri della sorgente. I segnali che riceviamo ci hanno svelato per la prima volta che i buchi neri vivono in sistemi binari, ci permettono di capire come ruotano, qual è la loro distanza e ci hanno svelato appunto le loro masse. Quelli che stiamo vedendo sono buchi neri di masse che vanno da poche masse solari fino a circa 100 masse solari.
Nel caso delle stelle di neutroni questo segnale è un po' più sporcato rispetto a quello dei buchi neri, che è estremamente preciso e pulito, perché quello che avviene è che, nella fase finale di due stelle di neutroni che ruotano una attorno all'altra, queste stelle si deformano e parte della materia viene distrutta e quindi anche il segnale risente di questo. Ma questa è la parte più interessante perché poi da quella materia si sprigiona anche la luce, quindi possiamo studiare questo oggetto attraverso quella che è chiamata l'astronomia multimessaggera; e attraverso proprio anche questa deformazione del segnale legata a questa materia che si distrugge noi possiamo capire, appunto, la natura delle stelle di neutroni».

Oltre alla difficoltà nel rilevare le onde gravitazionali, un solo interferometro laser non è sufficiente per determinare da dove il segnale arrivi. Questa tecnologia agisce, infatti, come un’antenna captando onde da ogni direzione del cosmo; per localizzare una sorgente di onde gravitazionali è dunque necessaria la triangolazione di almeno tre interferometri posizionati in diversi punti della Terra.

Giovanni Losurdo
Dirigente di ricerca INFN e Collaborazione Virgo

«Una data storica è quella del 2007, quando Ligo e Virgo, che sono nati come esperimenti in competizione, si mettono insieme per operare come se fossero un unico esperimento. Nasce una rete mondiale di interferometri che, oltre ad avere una copertura temporale del cielo molto migliore, riesce effettivamente, quando c'è un evento, ad identificare la direzione e a fornire in tempi molto rapidi ai colleghi astronomi le coordinate utili per puntare i telescopi e vedere se oltre onde gravitazionali c'è qualcos'altro. E questo è esattamente quello che è successo il 17 agosto del 2017».

In questa data storica, viene captata da Ligo e Virgo la prima onda gravitazionale associata a radiazione elettromagnetica, osservata invece dai telescopi a terra e nello spazio. Un segnale generato dalla fusione di due stelle di neutroni, il cui scontro ha emesso un lampo di luce sotto forma di raggi gamma, osservato circa due secondi dopo l’emissione delle onde gravitazionali.

Marica Branchesi
Ricercatrice GSSI e INFN - coordinatrice Einstein Telescope Observational Science Board

«Le onde gravitazionali ci hanno fatto capire, con un evento storico, Gw 170817, che questi gamma ray burst, questi flash nel gamma brevissimi, sono collegati alla fusione di stelle e di neutroni. Siamo riusciti a unire le informazioni con l'emissione di onde gravitazionali ed elettromagnetiche e questo ha avuto un impatto nell'astrofisica relativistica. Oggi sappiamo meglio come si formano e qual è la struttura di questi getti di energie e materia che si generano anche quando abbiamo i gamma ray burst. Abbiamo capito meglio la nucleosintesi di elementi pesanti nell'universo e questo attraverso la luce ottica che abbiamo visto nei primi dieci giorni con ad esempio i telescopi che abbiamo in Cile, i telescopi di ESO. Quello che abbiamo visto è una luce che dal blu diventava rossa e in base alla luminosità e alla variazione di colore sappiamo che nella fusione di stelle di neutroni si formano elementi pesanti».

La rete mondiale di interferometri è sottoposta a continui aggiornamenti con l’obiettivo di eliminare i rumori di fondo e permettere così la rilevazione e lo studio di fenomeni che generano onde gravitazionali meno intense.

Giovanni Losurdo
Dirigente di ricerca INFN e Collaborazione Virgo

«Ci saranno degli upgrade molto importanti previsti, per Ligo A-Sharp e per Virgo Next. Il network di rivelatori continuerà a progredire sia in termini di sensibilità angolare, capacità di identificare la direzione della sorgente, ma anche come capacità di guardare lontano nell'universo e farà da ponte per quelli che saranno i rivelatori di terza generazione, l’Einstein Telescope in Europa e Cosmic Explorer negli Stati Uniti».

arica Branchesi
Ricercatrice GSSI e INFN - coordinatrice Einstein Telescope Observational Science Board

«Aumentare la sensibilità significa aumentare il volume di universo che noi guardiamo e quindi questo ci permette poi di avere più segnali.
Se oggi abbiamo degli eventi che vediamo raramente in futuro avremo tantissimi eventi lungo la storia cosmica dell'universo si parla di 100.000 segnali all'anno provenienti dalla fusione di buchi nerii e 100.000 segnali all'anno provenienti dalla fusione di stelle e di neutroni questi con la nuova generazione di interferometri come Einstein Telescope».

Se i segnali osservati fino a oggi da Ligo e Virgo giungono da un universo abbastanza vicino, i futuri rilevatori di terza generazione riusciranno a captare onde gravitazionali attraverso tutto il cosmo, potendo così indagare la fusione di buchi neri e altri cataclismi cosmici fino all'universo più profondo.

Marica Branchesi
Ricercatrice GSSI e INFN - coordinatrice Einstein Telescope Observational Science Board

«Quello che incontreremo sono anche buchi neri che non nascono dalle stelle, ma che potrebbero nascere dalle fluttuazioni stesse della densità dell'universo, che sono i cosiddetti i buchi neri primordiali. Il James Webb Telescope ci ha fatto vedere che abbiamo dei buchi neri, in questo caso supermassivi, al centro delle galassie, già formate, molto più lontane, molto più vicino al Big Bang di quello che ci aspettavamo. Ovviamente, le onde gravitazionali vanno a vedere buchi neri diversi, ma ci potrebbero spiegare il perché ci sono questi buchi neri così distanti e così indietro nel tempo, perché la fusione di buchi neri più piccoli potrebbe spiegare l'origine dei buchi neri supermassicci che troviamo all'interno delle galassie e che in particolare sono milioni e miliardi di volte il Sole. Quindi è un'informazione complementare che ci potrebbe spiegare anche quello che oggi stiamo vedendo e che ci sta sorprendendo con il James Webb Telescope».

La nuova frontiera dell’astronomia gravitazionale passa ora anche dallo spazio.
Nel gennaio 2024 Esa ha approvato la missione Lisa, il primo osservatorio spaziale di onde gravitazionali. Con un lancio previsto a metà del prossimo decennio, la missione vedrà 3 satelliti scambiarsi raggi laser a una distanza reciproca di circa 2,5 milioni di km, una triangolazione di interferometri laser in orbita che annullerà così il rumore sismico.
Il cuore dei rilevatori gravitazionali a bordo dei tre satelliti sarà realizzato in Italia mentre lo Space Science Data Center di Asi contribuirà alle procedure di analisi dei dati.

Giovanni Losurdo
​​​​​​​Dirigente di ricerca INFN e Collaborazione Virgo

«L'Italia è stata sempre molto presente nel settore delle onde gravitazionali e anche con ruoli di leadership. Virgo nel 2017 ha dimostrato di essere un pilastro della ricerca delle onde gravitazionali a livello internazionale e l'Italia in Virgo ha sempre avuto un ruolo di leadership.
Anche per la terza generazione con il progetto Einstein Telescope, l'Italia manterrà questo ruolo perché è al momento il paese più rappresentato nella collaborazione internazionale Einstein Telescope.
L'Italia è candidata ad ospitare l'infrastruttura mettendo a disposizione un sito, quello di Sos Enattos in Sardegna, che dal punto di vista delle caratteristiche geofisiche è di gran lunga il migliore dei siti candidati».

Marica Branchesi
Ricercatrice GSSI e INFN - coordinatrice Einstein Telescope Observational Science Board

«Ma l'Italia ha giocato un ruolo fondamentale anche nell'astronomia multimessaggera, mettendo in campo strumenti eccezionali, partendo dallo spazio, e in questo caso dobbiamo fare riferimento all'Asi, e mettendo in campo anche tutti quelli che sono gli strumenti a terra, quindi telescopi a terra che vanno dall'ottico al radio. In questo ha giocato un ruolo fondamentale l'Istituto Nazionale di Astrofisica.
La sinergia e la collaborazione di questi enti di ricerca è stata fondamentale per l'astronomia attuale, quindi per questa nuova esplorazione dell'universo e sarà fondamentale per il futuro soprattutto perché l’Einstein Telescope, quindi questo futuro strumento, lo vogliamo portare in Italia, e penso che l'asset che gli enti di ricerca italiani possono offrire è un asset che altri paesi in questo momento non hanno».

30 anni dopo la costruzione di Virgo, la fisica e l’astronomia in Italia potrebbero avere quindi una nuova grande opportunità con l’Einstein Telescope, progetto internazionale per la realizzazione di un grande rivelatore di onde gravitazionali sotterraneo, tra i 100 e i 300 metri di profondità.
Questa tecnologia di terza generazione sarà in grado di osservare un volume di universo mille volte maggiore rispetto agli attuali rivelatori gravitazionali di seconda generazione, aprendo così il nostro sguardo a fenomeni astrofisici attesi ma ancora mai osservati.
​​​​​​​Uno dei siti canditati a ospitare l’Einstein Telescope è la miniera metallifera dismessa di Sos Enattos in Sardegna, la cui candidatura è sostenuta dal Governo Italiano, dal Ministero dell’Università e della Ricerca, dalla Regione Autonoma della Sardegna e coordinata scientificamente dall’INFN, con la collaborazione di diversi enti di ricerca e università di tutta Italia.
In tale contesto, il progetto Etic del MUR vede la partecipazione dell’Agenzia Spaziale Italiana a supporto della progettazione delle strutture di superficie e sotterranee di ET e per la realizzazione delle stazioni GNSS e meteo di ASI presso il sito dell’Einstein Telescope. Il ruolo che il nostro Paese assume storicamente nell’astronomia gravitazionale e multimessaggera è dunque vivo più che mai e soprattutto proiettato verso le sfide del futuro.

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